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COME CLONARE UN MAMMUTH (DI PIETRAFITTA) PARTENDO DA UN TOPO




PERUGIA - Entro il 2009 si prevede l'apertura del museo paleontologico di Pietrafitta, la cui realizzazione è giunta ad una svolta importante 15 giorni fa, quando è iniziato il trasferimento dei reperti nell'ala del museo denominata sala delle Culle, che li ospiterà definitivamente. Fra i fossili che verranno esposti spiccheranno – e non solo per le loro mastodontiche proporzioni – i resti della specie Mammuthus Meridionalis, cugini dei celeberrimi pachidermi lanosi che popolarono le regioni dell'Europa settentrionale fino all'ultima glaciazione, ed antenati degli elefanti contemporanei. La collezione dei mammut di Pietrafitta infatti, presenta la particolarità di contenere numerosi reperti conservatisi in posizione anatomica corretta. Molti crani sono stati recuperati con le ossa già unite fra loro, e le zanne sistemate giustamente, com'erano quando l'esemplare era in vita, e non disposte in modo caotico come accade normalmente. Questo fatto, di per sé raro e quindi di elevato interesse scientifico, costituirà anche un elemento di forte impatto dal punto di vista museografico, poiché renderà possibile valorizzare al massimo l'esposizione dei resti, rendendo la visita una escursione particolarmente suggestiva fra gli animali che popolarono la nostra regione oltre 1 milione di anni fa. Ma oggi, nel panorama scientifico internazionale, sembra che i mammut destino ben altri interessi rispetto a quelli ascrivibili alla testimonianza del tempo che fu. C'è infatti chi afferma di poterli riportare in vita. Ed in termini che - non solo dal punto di vista cronologico - sanno di paradossale. L'idea è nata infatti da un esperimento effettuato sui loro piccoli, acerrimi nemici di sempre. I topolini.
MA HA SENSO RIPORTARE IN VITA I FOSSILI? – Due topolini clonati hanno raggiunto in ottime condizioni di salute lo stadio adulto. Il comunicato - diramato pochi giorni fa dai laboratori di ricerca di Kobe, in Giappone - rimbalza veloce all'interno della comunità scientifica internazionale, amplificandosi con un che di fanciullesco, come accade ai racconti che si fanno tra loro i bambini, arricchendosi ed ingigantendosi di idee e particolari mentre passano di volta in volta nelle loro bocche. E già si pensa di clonare mammut, tigri dai denti a sciabola ed altri animali che non camminano più su questa Terra da centinaia, migliaia o addirittura milioni di anni. Se la zampa di Dodo conservata al museo di Storia Naturale di Oxford rappresenta da anni una irresistibile tentazione per i genetisti della clonazione, è di questi giorni l'annuncio di voler ripetere l'esperimento, riuscito con i topi, su un mammut congelato da 11.000 anni nel permafrost siberiano. Alla notizia non è stato dato grande risalto dagli organi di comunicazione. Ormai la clonazione non è più una novità. E non sarebbe la prima volta che gli scienziati tentano di riportare in vita animali estinti. Noah, il clone di un bue selvaggio recentemente scomparso dal suo habitat naturale, fu prodotto nel 2001 negli Stati Uniti, anche se la sua vita durò solo 48 ore. Le sue cellule vennero impiantate nell'utero di Bessie, una comune mucca come quelle che pascolano nelle nostre campagne, che riuscì a portare a termine questa grottesca gravidanza inter-razza, dando alla luce una specie estinta. A suo tempo la notizia venne commentata come un importante passo avanti verso futuri stupefacenti traguardi, ma – al di là del progresso scientifico fine a se stesso – viene da chiedersi che senso abbia riportare in vita un animale estinto. Le specie terminano perché il loro habitat non esiste più, perché non riescono a riprodursi, adattandosi alle condizioni di vita imposte dai nuovi ecosistemi. In qualche modo, e per qualsivoglia ragione, è come se non riuscissero a stare al passo con i tempi. A quale scopo allora, tentare di riportarle forzatamente in un ambiente che non è più loro congeniale? Alcuni rispondono che si sta solo tentando di riparare ai danni fatti dall'uomo, perché molte di queste specie sono scomparse per causa nostra. Innanzitutto questo riguarderebbe solo alcuni animali, specie in via di estinzione o scomparse da poco, non certamente elefanti pelosi e felini che lasciarono la Terra quando ancora l'uomo stava calcandovi i suoi primi passi. Per non parlare di sauri estinti da milioni di anni. Il Jurassic Park del compianto Michael Chrichton continua ancora a stuzzicare le menti più fervide dei bioingegneri e dei genetisti di tutto il mondo, che sembra non tengano in considerazione le seppur non troppo fantasiose conseguenze che l'autorevole medico citava nel suo famoso best-seller. E comunque, anche nel caso di specie in pericolo, o scomparse a causa dell'uomo, non è possibile pensare di “risistemare le cose” in questo modo. I danni, o i cambiamenti, che sono avvenuti sulla Terra per opera dell'uomo, ormai sono stati fatti, ed hanno provocato come naturale conseguenza l'incontrovertibile fine delle specie che non hanno saputo adattarsi. Non sarebbe più utile concentrarsi su come evitarne altri in futuro, e lasciare che per il resto sia la natura a decidere come proseguire il suo corso, invece di volerla ad ogni costo incanalare su percorsi che prescindono da ogni altro scopo che non sia quello puramente gratificante per la dimostrazione delle nostre capacità? Ma la fantasia, o le velleità dell'uomo, a volte corrono troppo veloci. E l'eccitazione che consegue al progresso scientifico ci fa dimenticare che il potere di fare qualcosa non è un motivo sufficiente per farla. Prima di tutto dovrebbe esserci uno scopo.
LE DIFFICOLTA' TECNICHE - DUBBI SULLA SCELTA DELLA “MADRE” – Se da un lato è vero che i risultati ottenuti dai ricercatori giapponesi sono impressionanti, bisogna anche considerare che i topolini sono stati ottenuti da cellule di roditori congelate in laboratorio, e mantenute sotto condizioni costanti per 16 anni. Da qui alla clonazione di un mammut, imprigionato nel permafrost siberiano da almeno 11.000 anni, il passo è un po' più lungo. Infatti, mentre il patrimonio genetico dei topolini è rimasto praticamente intatto, quello dei mammut o di altre creature di cui sono stati recuperati i resti risultano immancabilmente danneggiati. In questo caso, prima di procedere alla clonazione, il lavoro dei bioingegneri consiste nel recuperare il maggior numero possibile di frammenti di DNA e rimetterli insieme, “ricucendoli” in modo da ottenere una sequenza completa ed utilizzabile. C'è poi il problema riguardante il soggetto in cui impiantare le cellule recuperate. Se nel caso di mammiferi viventi la scelta è ovvia, nell'ambito delle specie estinte è molto più problematica. Una femmina di elefante attuale potrebbe sopportare e portare a termine la gravidanza di un suo così lontano antenato? Quale specie di felino vivente dovrebbe essere scelta per generare una tigre dai denti a sciabola?
Daniela Querci - 17/11/2008

5 commenti:

  1. ma lasciateli fare si on estinti per il freddo ora qualche mammut potrebbe tranquillamente sopravvivere

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  2. sarebbe bello fare un parco della preistoria
    con mammoth smilodonti e forse anche dinosauri

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    1. tu si che hai una bella mente brillante

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  3. è una bella idea clonare gli animali della preistoria ma se ci aggiungessero uomo primitivo sarebbe ancora più bello e se saremo fortunati potremo riportare in vita i dinosauri in modo che il jurassic park diventi realta

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  4. direi al primo anonimo che i mammoth vivevano nelle zone mono ospitali della terra e che erano abituati al freddo quindi è meglio che inventino un congegno che faccia diventare il clima molto freddo cosi da sentirsi a casa

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