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IL PASSAGGIO SEGRETO DEL NERA





SPOLETO - Per sua stessa definizione, un passaggio segreto è di difficile individuazione e – nella migliore tradizione del genere Fantasy – si trova in luoghi improbabili, sotto gli occhi di tutti ma inaccessibile a chi non sa vedere oltre la semplice apparenza. Il passaggio segreto del fiume Nera è lungo 42 chilometri, e l'ingresso è nei pressi di Triponzo, una frazione del comune di Cerreto di Spoleto. Ma sarebbe impossibile notarlo, a meno di non confrontare una mappa recente delle portate del fiume con una antecedente al 1932. Prima di quell'anno infatti, le acque scorrevano molto più copiose nel letto naturale del Nera che, dalle sue sorgenti – sul versante marchigiano dei Monti Sibillini – si snoda lungo un percorso tortuoso, attraversando le rocce calcaree della dorsale appenninica fino alla confluenza con il Tevere, di cui costituisce l'affluente di maggiore rilevanza per quantità e regolarità delle portate. Ora, gran parte delle acque del fiume scompaiono in un corso artificiale sotterraneo, il Canale del Medio Nera, che le convoglia per scopi idroelettrici fino al Lago di Piediluco. Successivamente a questa modifica, la confluenza Nera – Velino non esiste più. Le acque del Velino, insieme a quelle del Canale del Medio Nera, vengono immesse in galleria, e - attraverso un circuito complesso per la produzione di energia in una serie di centrali idroelettriche - sono recapitate fin quasi al Tevere. Il passaggio segreto del Nera è dunque un percorso obbligato che ha modificato significativamente il corso del fiume, convogliando la maggior parte delle sue acque al di fuori dell'alveo naturale, in funzione di quello che rappresenta il maggiore sistema idroelettrico degli Appennini, ed uno dei più importanti d'Italia.

IL PAESE DELLE SORGENTI – Un vecchio proverbio ternano recita: “Il Tevere non sarebbe Tevere se non ci fosse la Nera a dargli da bevere”. Ed è vero. La quantità d'acqua che porta in media alla sua confluenza con il Tevere lo classifica come 7° fiume italiano. Sotto alcuni significativi aspetti, il Nera è più importante del Piave, del Tanaro, della Dora Baltea e di tanti altri fiumi più lunghi e con bacini idrografici più ampi. E molta della sua importanza la deve alle numerose sorgenti che incontra lungo il suo cammino. Stifone, una delle più piccole frazioni del comune di Narni, è conosciuto come il paese delle sorgenti. Situato nelle suggestive gole scavate dal Nera fra balze rocciose di una bellezza selvaggia, è infatti ricchissimo di acque sorgive. Solo dentro l'abitato se ne trovano due: una – in corrispondenza di antichi lavatoi – sgorga dalla viva roccia; l'altra passa vicino a delle grandi vasche, e si getta nel fiume creando una piccola cascata. Verso valle poi, un'altra conca di acqua cristallina è la sede di un'ulteriore sorgente, che scaturisce a pressione provenendo – secondo la tradizione popolare – dalla montagna di San Pancrazio. Nel corso dei secoli, queste particolari caratteristiche hanno fatto del luogo una fiorente industria di mulini ad acqua, la sede di antiche ferriere pontificie utilizzate per raffinare i minerali estratti dalle rocce del Monte Santa Croce, e l'importante porto e cantiere navale di epoca romana della città di Narni. Stifone - la cui etimologia sembra infatti provenire dal termine greco utilizzato per indicare la sede di costruzione e di varo di imbarcazioni - approvvigionava Roma di barche, fabbricate con i legnami pregiati provenienti dai boschi circostanti. Di queste attività restano oggi le antiche vestigia, come pagine di storia sparse lungo il corso del fiume. Oltre a Stifone, il territorio del comune di Narni vanta molte altre sorgenti. Quella di Feronia, sul monte che sovrasta Narni, è antichissima. Dedicata all'omonima dea, rappresentante l'eterna primavera, era venerata dalle stirpi umbro-sabine, dai Volsci e dagli Etruschi prima dell'egemonia romana. La fonte sacra era anticamente protetta da un bosco di elci, nel quale sorgeva un piccolo tempio ed una statua della dea.
La sorgente del Lecinetto invece, sgorga in una grotta sulle rive del Nera, presso la centrale idroelettrica del Recentino. Il nome proverrebbe da una grande pianta di Leccio cresciuta rigogliosamente lì vicino. Nei primi del ‘900, la sorgente venne sfruttata come risorsa termale e anche ai fini dell’imbottigliamento. Negli anni precedenti la II guerra mondiale, la diffusione dell’acqua del Lecinetto varcò persino i confini nazionali, anche se in modo limitato. Fonti storiche ne riportano l’utilizzo in un ristorante di Innsbruck, dove il proprietario riferiva di conoscere l’Umbria e la città di Narni grazie all'ottima qualità delle sue acque. Nel corso della guerra l’impianto è andato distrutto, e la successiva antropizzazione dell’area ha definitivamente compromesso la piscina naturale che valorizzava la sorgente.
LA SCOPERTA DELL'ACQUA CALDA – Oltre a quelle del Comune di Narni, tutta la Valnerina è punteggiata da una grande quantità di sorgenti di acque minerali e termali. San Faustino, San Gemini, Amerino, Fabia e Lieve sono solo alcune delle acque che provengono dall'area. Vengono definite bicarbonato-calciche e, come acque da tavola, rispondono ad ottimi criteri di tollerabilità e sono pertanto ampiamente commercializzate. La San Faustino e la San Gemini presentano l’ulteriore particolarità di essere effervescenti naturali. Questa proprietà deriva dalla presenza di acido carbonico, che si trova disciolto nell’acqua in certe condizioni di pressione. Quando la pressione diminuisce – allo scaturire alla sorgente – l’acido carbonico rilascia diossido di carbonio, che genera l’effervescenza. Fra le sorgenti di acque termali, quella dei Bagni di Triponzo è sicuramente la più interessante. Definita sorgente termo-minerale, è l'unica in Umbria a fornire acqua ad una temperatura costante di circa 30 °C, indipendentemente dalla stagione e dal clima. L'acqua è arricchita in calcio e solfati, che le conferiscono sfumature di un azzurro intenso e suggestivo. Secondo recenti lavori scientifici, compiuti da un gruppo di studiosi guidato dal Professor Pietro Conversini (dipartimento di Ingegneria Ambientale dell'Università di Perugia) le acque di Triponzo devono sia la particolare composizione chimica che la temperatura al fatto di essere “sorgenti chiuse”. Le rocce profonde che rappresentano il serbatoio in cui l'acqua risiede per lungo tempo prima di risalire in superficie e sgorgare dalla sorgente, sono infatti limitate da ogni lato da rocce impermeabili. Per avere un'idea della situazione, è sufficiente immaginare un cubo di pietra porosa sepolto a contatto con terreni che formano una barriera per l'acqua, sia in entrata che in uscita. Solo un lato del cubo affiora in superficie, ed è di là che l'acqua entra nei pori, ed inizia il suo cammino all'interno della roccia. Durante il suo percorso, in una sorta di scambio chimico con la roccia porosa, l'acqua acquista parte delle sostanze di cui la roccia è composta; contemporaneamente, si riscalda in virtù del gradiente geotermico (la temperatura aumenta man mano che si scende nelle profondità della Terra). La risalita infine, sarebbe dovuta alla presenza di fratture, numerose in tutta l'area, come testimonia la forte sismicità della zona. Al riguardo, sono in corso un certo numero di studi rivolti ad accertare l'esistenza o meno di relazioni fra la composizione e la temperatura dell'acqua di sorgenti di questo tipo, e l'occorrenza dei terremoti. In qualche caso sembrerebbe infatti che, in un arco temporale di qualche settimana antecedente e successiva al verificarsi di un evento sismico, l'acqua delle sorgenti cambi sia in composizione che in temperatura. Se questi parametri fossero monitorati costantemente, forse potrebbero fornire utili indicazioni riguardo la previsione dei terremoti.
Daniela Querci - 29/09/2008

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