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I PROCESSI MEDIATICI DEL TERZO MILLENNIO

PERUGIA - Il processo per l'omicidio di Barbara Cicioni prosegue. Super-testimonianze, e nuove, ipotetiche piste di bande di albanesi, si perdono nelle pieghe involute dei dibattimenti processuali. Nel frattempo si attende l'apertura in corte d'assise dell'azione giudiziaria per il delitto di Meredith Kercher, in cui i testimoni spuntano e si eclissano. E tutti gli accusati continuano a professarsi innocenti. Nel caso di Amanda Knox e' spuntato anche un sito (amandadefensefund.org) in cui si chiedono aiuti per le spese processuali a carico della famiglia. Sono questi i primi – anche se tutt'altro che timidi – passi dei procedimenti penali del terzo millennio, in cui i delicati percorsi giudiziari si ingarbugliano nella rete tessuta di falsi scoop e notizie rilanciate e poi smentite dai network globali. In questo calderone infernale devono – loro malgrado – sguazzare inquirenti e magistrati, cercando di dragare i fatti nel fango di una palude che rischia ad ogni passo di trasformarsi in sabbie mobili. E minaccia di inghiottire, in modo definitivo, la verità giudiziaria.

MA E' IL PENSIERO CHE CONTA - Ma – come si dice – è il pensiero che conta. E se, in un futuro più prossimo di quanto potremmo immaginare, contasse davvero? Anche, e soprattutto, in sede processuale? Ipotizzate di essere stati accusati di un crimine efferato, come un omicidio. E' il giorno del processo. Siete alla sbarra. Vi fanno indossare un casco, dotato di elettrodi e collegato ad un computer. E stimolano la vostra attività mentale proponendovi gli elementi e le immagini relative al reato: l'arma del delitto, gli abiti della vittima, le foto del luogo in cui è stato commesso il crimine. Il vostro cervello le elabora ad una velocità impressionante e, se nel giro di qualche frazione di secondo dovesse rispondere agli stimoli emettendo una serie di particolari impulsi elettrici, sareste inchiodati senza possibilità di scampo. Rimarreste in silenzio di fronte alla corte, ma inutilmente. Nei grafici della vostra attività cerebrale, i picchi associati alla visione delle evidenze del reato proverebbero inconfutabilmente l'esistenza di ricordi collegati al crimine, che solo il colpevole può avere. Anche nel caso in cui la sua memoria conscia li abbia rimossi. E' quanto affermano studi condotti da un gruppo di neurologi guidati dal professor Larry Farwell, un accademico formatosi ad Harvard che ha iniziato le proprie ricerche al Centro Tecnologico dell'Università di Washington, e che ora sta raffinando ulteriormente le tecniche di questo interessante campo di indagine nientemeno che a Seattle, la città natale di Amanda Knox.

L'IMPRONTA DIGITALE DEL CERVELLO – L'idea del brain fingerprinting (così è stato chiamato il casco e la tecnologia da cui deriva) è partita dalla scoperta di particolari impulsi elettrici, denominati P300, che il cervello produce all'incirca 300 millisecondi dopo essere stato stimolato da qualsiasi cosa susciti nella mente ricordi di eventi eccezionali. Le caratteristiche uniche, che collocano questo strumento di verifica al di sopra di altri già sperimentati, come la ormai ben nota macchina della verità, sono tre: innanzitutto, la tecnica permette di distinguere senza ombra di dubbio chi è coinvolto in un crimine da chi non lo è, in quanto in quest'ultimo caso il cervello non produce gli impulsi P300, dato che non possono esistere ricordi di reati non commessi. In secondo luogo, il brain fingerprinting registra fatti realmente accaduti, e non segnali psicologici di natura emozionale, come cambiamenti nel battito cardiaco, sudorazione o alterazioni nella pressione sanguigna, che soggetti molto abili potrebbero essere in grado di controllare. Infine, lo strumento è indipendente dall'abilità degli operatori, il cui compito si riduce alla lettura di un grafico. I punti deboli della tecnica sono rappresentati da un lato dalla necessità di reperire stimoli che solo chi ha commesso il reato possa conoscere, e dall'altro dall'ipotesi che l'attività neurologica di soggetti particolarmente instabili possa deviare significativamente da quella standard, invalidando i risultati del test. Ma le potenzialità dello strumento restano comunque enormi. Test effettuati in collaborazione con l'FBI ne hanno dimostrato la validità, tanto da meritare da parte dell'ente investigativo americano l'assegnazione di cospicui fondi per il proseguimento delle ricerche. Già da qualche tempo, negli Stati Uniti questo strumento è ammesso in tribunale, ed è stato grazie al suo utilizzo che un uomo, ingiustamente giudicato colpevole di omicidio, è stato scagionato e rimesso in libertà. Quest'anno, la brain fingerprinting technology ha inoltre vinto la semifinale americana del Global Security Challenge 2008, una competizione di livello internazionale fra aziende che sviluppano progetti utili per la sicurezza.
Staremo quindi a vedere. Resta il fatto che suona certo un po' inquietante pensare di dover affidare il futuro di un uomo ad un attrezzo che sembra uscito dritto dritto dalle pagine di un classico della fantascienza.
Daniela Querci - 24/11/08

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