Argomenti

C'E' L'UMBRIA NEL CUORE DI UNO DEI PIU' ILLUSTRI SCIENZIATI DEL NOSTRO TEMPO

LA GOLA DEL BOTTACCIONE LO PORTO' SULLE TRACCE DEI DINOSAURI
e da Gubbio ci ha aperto nuovi punti di vista sulla storia della Terra
Ha legato la gola del Bottaccione alla più affascinante delle teorie sull'estinzione dei dinosauri. Ora riceve l'equivalente del Nobel per le scienze della Terra. E, nel giorno della premiazione, dedica a Gubbio i suoi romantici ricordi. “E' stato bello il tempo in cui respiravo l'aria fredda di Novembre sul monte Ingino. Belle le vecchie canzoni che i geologi italiani cantavano la sera ai tavoli delle trattorie di Gubbio”. E' così che Walter Alvarez – il 21 Novembre scorso - conclude il suo discorso alla platea gremita nella grande sala di ricevimento della Columbia University di New York, uno dei più antichi atenei degli Stati Uniti. Il luogo è prestigioso, ed è l'occasione a richiederlo. Nell'emozione, le dita segnate dalla vita all'aperto del 68enne geologo americano percorrono più volte i rilievi della medaglia con cui è stato insignito del premio Vetlesen. Il più alto riconoscimento nel campo della geologia. Sul retro dell'onorificenza sta scritto: per le conquiste nelle scienze della Terra e dell'Universo. E Alvarez racconta la storia appassionante della sua conquista.

IL GEOLOGO DELLA CATOSTROFE
Era un giovane geologo di campagna quando – a metà degli anni '70 - venne a Gubbio per studiare le maestose sequenze di roccia sedimentaria che, uniche al mondo, rappresentano l'archivio di milioni di anni di storia del nostro pianeta. I suoi obiettivi non erano certo così ambiziosi da pensare di riuscire a leggerci dentro l'evento catastrofico che avrebbe segnato la fine dei dinosauri sulla Terra. Ma la casualità a volte gioca un ruolo importante nelle grandi scoperte. E Alvarez notò che uno degli strati di roccia non conteneva i microscopici gusci fossili tanto abbondanti nei calcari impilati sotto e sopra a quel piccolo livello rossastro. La cosa, anche se esulava dall'ambito della sua ricerca, lo incuriosì. I fossili sono la testimonianza della presenza di vita nel periodo di tempo in cui si forma una roccia. Perché in quel particolare strato non ce n'erano? Raccolse molti campioni ed iniziò ad analizzarli. I dati che ottenne erano inconsueti. Indicavano altissimi contenuti in Iridio, un metallo molto raro sulla crosta terrestre, ma comune nei frammenti di asteroidi che cadono sulla Terra. Dunque la roccia registrava forti concentrazioni di un elemento di probabile provenienza extraterrestre, e non conteneva forme di vita. Nella mente del ricercatore cominciò a germogliare il seme di un'idea. Tanto anticonvenzionale – per quel tempo – quanto lo era la roccia che l'aveva ispirata. Nel 1980 propose la sua teoria. Un grosso meteorite poteva essere caduto sulla Terra.
Il fortissimo impatto avrebbe provocato la polverizzazione di grandi pezzi del corpo celeste, i cui elementi – come l'Iridio – sarebbero poi ricaduti anche a grandissima distanza, entrando a far parte della composizione delle rocce che si stavano formando in quel momento. Gli sconvolgimenti climatici innescati dalla collisione avrebbero causato danni enormi alle forme di vita che popolavano la Terra, fino a portarne gran parte all'estinzione. La roccia del Bottaccione presentava infatti un'altra particolarità. Aveva 65 milioni di anni. Data significativa per i paleontologi, che avevano già da tempo appurato come quell'epoca rappresentasse un limite molto netto per l'evoluzione della vita sulla Terra. La maggior parte dei fossili recuperati dalle rocce più antiche di 65 milioni di anni – come i dinosauri - nelle formazioni più recenti non compaiono più. Al loro posto si trovano le vestigia di forme viventi completamente diverse. Come se 65 milioni di anni fa fosse accaduto qualcosa di così improvviso e letale da azzerare quasi totalmente la vita prosperata fino ad allora. L'ipotesi del meteorite calzava a pennello. Ma – per lunghi anni - solo nella mente di Alvarez.

SCETTICISMI E RIVINCITE
I detrattori della nuova, anticonformista teoria, basavano le loro critiche su due punti fondamentali. Il primo era di natura filosofica, e riguardava il concetto dell'Attualismo: principio secondo cui i processi che hanno operato nel passato sono gli stessi che osserviamo nel presente. La vita evolve gradualmente, le specie mutano o si estinguono nell'arco di lunghissimi periodi di tempo, non all'improvviso. Da questo punto di vista l'ipotesi di Alvarez era improponibile. Il secondo scoglio aveva un carattere più prosaico. Dov'era il cratere di questo meteorite? Un bolide di dimensioni tali da provocare l'apocalisse delineata da Alvarez, avrebbe dovuto lasciare una cicatrice indelebile sulla faccia della Terra. Ma nessuno dei crateri conosciuti fino ad allora era grande abbastanza, né corrispondeva all'età cruciale. Per avvalorare la sua teoria, Alvarez aveva bisogno di un cratere largo almeno 150 Km e vecchio 65 milioni di anni. Le sue ricerche continuarono per molto tempo. Nel 1990, un gruppo di studiosi che credeva in lui, trovò il candidato ideale: era ben nascosto fra la costa della penisola dello Yucatan ed il fondale marino antistante. Largo 180 Km e generato da una meteora grossa almeno quanto l'Everest, il cratere di Chicxulub era vecchio esattamente 65 milioni di anni. Di fronte ad evidenze così schiaccianti, anche gli scetticismi di natura filosofica si spensero. La teoria che Alvarez aveva faticosamente portato avanti per 10 lunghi anni era finalmente riscattata.
UN NUOVO PANORAMA NEI NOSTRI ORIZZONTI
Oggi esistono nuove teorie, parallele a quella di Alvarez, che introducono la possibilità che anche altri eventi di natura terrestre – come le grandi eruzioni del Deccan - possano aver avuto ruoli comprimari nel fenomeno dell'estinzione di massa. Ma quello che la comunità scientifica - conferendogli il premio - ha voluto sottolineare, è l'essenza fondamentale dei suoi studi. Il suo lavoro ha dimostrato come eventi catastrofici possano rimodellare improvvisamente il corso dell'evoluzione sul nostro pianeta. Ci ha dato una visione alternativa della storia della vita sulla Terra, dimostrandoci quanto il nostro pianeta possa essere intimamente collegato al resto dell'Universo. Ha allargato i nostri orizzonti, offrendoci un panorama in cui tutto può dipendere anche da come il nostro mondo interagisce con gli altri corpi cosmici. Alvarez non ha solo trasportato lo studio degli impatti extraterrestri dal campo della fantascienza a quello della scienza, ma ha cambiato per sempre il modo in cui osserviamo il nostro pianeta e la sua evoluzione. Con il moderno catastrofismo, ora ben radicato non solo nella bibliografia scientifica, ma anche in quella divulgativa, nella cinematografia e negli allestimenti museali, Alvarez ha avuto successo anche nel creare un solido ponte fra il mondo scientifico e quello della cultura popolare.
“Sono felice” commenta Alvarez “di avere avuto una parte nei progressi della geologia di questi ultimi 40 anni. Ma adesso per me è arrivato l'autunno”. Un sorriso lieve. Una lacrima di commozione. E si congeda dai suoi ospiti. Ma non tutti sono convinti che sia così profondamente immerso nel suo autunno. Si dice che il direttore della fondazione Vetlesen abbia impiegato più di una settimana nel tentativo di rintracciarlo per informarlo di aver vinto il premio. Era in montagna. Fra le sue amate rocce. Forse, a respirare di nuovo la nostra fredda aria invernale. Che a lui riscalda ancora il cuore.
Daniela Querci - 15/12/2008

Nessun commento:

Posta un commento