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I GIGANTI D'ARGILLA

Avigliano Umbro - Un esercito di giganti intrappolati nel terreno. Possenti golem mummificati che emergono dall'argilla su uno sfondo grigio e desolato, e si stagliano imponenti contro un paesaggio lunare a testimonianza di un passato grandioso, che non vuole - e non deve - essere ancora una volta dimenticato.
Scoperta per la prima volta nel XVII secolo, poi scordata per quasi 400 anni, ed infine ritrovata alla fine degli anni '70, l'eccezionale foresta fossile di Dunarobba non riceve finanziamenti da più di un decennio, rischiando così di subire danni incalcolabili. La dottoressa Angela Baldanza, docente presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Perugia, ha recentemente condotto una ricerca sui fenomeni di mineralizzazione che stanno interessando alcuni dei tronchi esposti alle aggressioni atmosferiche. Ed ha riscontrato la presenza di solfuri di ferro, che – a contatto con acqua ed ossigeno – generano una sostanza altamente corrosiva: l'acido solforico, in grado di attaccare e distruggere la lignina che costituisce i tronchi, antichi di almeno 2,5 milioni di anni.





LA FORESTA RITROVATA - La scoperta della foresta fossile di Dunarobba si deve al Principe dei Lincei Federico Cesi, che nel 1600 fu in grado di intuirne il valore, e ne studiò le possibili origini con l'amico e scienziato Francesco Stelluti. Del loro lavoro rimangono alcuni interessanti scritti, e circa 200 fra disegni ed acquerelli, conservati presso la Royal Library del Castello di Windsor, che illustrano e raffigurano i legni fossili di Dunarobba. Ma poi, per oltre 3 secoli, la foresta fu dimenticata.
La sua riscoperta risale alla fine degli anni '70, durante gli scavi per l'estrazione di materiali inerti utilizzati nella vicina fornace di laterizi. Nel 1987, la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Umbria avviò le procedure per la tutela dell'area, effettuando rilevamenti grafici, fotografici e topografici, e l'anno successivo - dopo aver posto il vincolo di divieto di estrazione - realizzò coperture provvisorie per proteggere i tronchi dagli agenti atmosferici. Da allora, è anche in funzione un sistema di monitoraggio che rileva le variazioni nello stato di salute di alcuni degli antichi reperti. In questi ultimi 20 anni, la foresta fossile di Dunarobba ha ricevuto visite da una folta schiera di studiosi, provenienti da ogni angolo del pianeta. Ne sono emersi numerosi lavori scientifici che hanno fatto luce sulle origini e la storia di questa meravigliosa foresta, inquadrandola nel contesto delle trasformazioni geologiche che - nel corso di milioni di anni - ha subito il nostro territorio, evolvendosi fino all'attuale conformazione. Attualmente, l'area della foresta e l'annesso Centro di Documentazione vengono curati dal Comune di Avigliano Umbro. L'amministrazione comunale, sensibile nei confronti dell'importanza paleontologica e culturale che riveste la zona, garantisce la presenza di personale tecnico idoneo alla guida dei visitatori, ed offre a scuole di ogni grado e livello proposte didattiche imperniate sulla conoscenza del territorio del passato, e sulla derivante comprensione di quello presente, affascinando ragazzi di ogni età con ricostruzioni di paesaggi che evocano immagini esotiche, e li rendono consapevoli delle trasformazioni ambientali e delle loro conseguenze sulla vita animale e vegetale.
Ma Dunarobba ha bisogno di essere maggiormente tutelata. Alcuni anni fa, ad uno dei tronchi fu addirittura appiccato il fuoco, e continuò a bruciare per ore prima che l'incendio potesse essere domato. I ripari in legno costruiti per proteggere i tronchi dovrebbero essere sostituiti da strutture più moderne ed efficienti, al fine di minimizzare il deterioramento dovuto agli agenti atmosferici, particolarmente pericoloso nel caso dei tronchi in cui il legno è parzialmente sostituito da forme minerali, come evidenziato dallo studio della professoressa Baldanza. In tutta l'area si rileva uno stato di trascuratezza, il cui risanamento non può essere sostenuto unicamente da una piccola municipalità come quella di Avigliano Umbro. Solo l'impegno e la cooperazione di tutti gli Enti preposti a questo genere di problematiche potrebbe restituire alla foresta fossile di Dunarobba il decoro e la dignità che le competono, dandole la possibilità di essere inserita nell'elenco del patrimonio mondiale dell'Unesco, dove avrebbe tutti i diritti di essere annoverata.
UN PATRIMONIO UNICO AL MONDO – I tronchi di Dunarobba sono unici al mondo. Anche se a volte accomunati ad altre antiche foreste di cui rimangono oggi le vestigia - come la famosa foresta pietrificata dell'Arizona - ne differiscono per due fondamentali caratteristiche: i tronchi non sono pietrificati, ma sono ancora costituiti dal legno vero e proprio di 2,5 milioni di anni fa; inoltre, sono rimasti nella loro posizione originale, con le radici impiantate nel terreno, come quando erano in vita. Solo in altri 3 luoghi sulla Terra esistono casi analoghi a Dunarobba, ma non così ben conservati, né di facile fruizione al pubblico. Nell'isola di Axel Heiberg (Arcipelago Artico Canadese) ad esempio, le condizioni ambientali sono talmente proibitive che i reperti vengono mantenuti sotto il permafrost, il ghiaccio perenne che li ha conservati fino ad oggi, e solo periodicamente riportati alla luce per effettuare campionamenti e verificarne lo stato di conservazione. Mentre nella regione di Bukkabrany, in Ungheria, i tronchi – scoperti soltanto 2 anni fa nel corso di normali operazioni di cava – si polverizzano letteralmente nelle mani dei ricercatori, che attualmente stanno cercando il modo migliore per conservare quel che ne resta.

I ceppi di Dunarobba si ergono dal terreno fino ad oltre 8 metri, ed appartengono ad una specie di gigantesche conifere il cui odierno rappresentante è la Sequoia Sempervirens, caratteristica delle zone montuose nord-americane. Tramite la misura del loro diametro si è potuti risalire all'altezza degli alberi, che doveva aggirarsi sui 40 metri. Studi effettuati sugli anelli di crescita hanno evidenziato fino a 565 cicli di accrescimento, e su questa base è stato stimato che gli alberi siano vissuti per circa 2.000 – 3.000 anni, prima di essere sepolti. L'ambiente in cui si è sviluppata la foresta era di tipo paludoso, molto umido e soggetto a continui allagamenti. Questo determinò un lento e progressivo seppellimento della base dei tronchi da parte dei sedimenti, che venivano deposti durante ogni fase di inondazione. Le sabbie e le argille hanno avvolto le parti basse degli alberi, proteggendole e conservandole a tal punto che il legno, nel corso di più di 2 milioni di anni, ha soltanto perso il suo contenuto in acqua, preservandosi per il resto inalterato, come in una sorta di mummificazione vegetale.


Daniela Querci - 18/05/2009

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