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MOLTO RUMORE PER NULLA? NO...


...Al contrario. Il rumore può essere convertito in energia, per alimentare una nuova generazione di microdispositivi elettronici che serviranno praticamente a tutto. E' quanto ha dimostrato Luca Gammaitoni, professore associato al Dipartimento di Fisica dell'Università di Perugia, insieme al suo team di collaboratori.




Che cosa si intende per rumore? - Il rumore, spiega Gammaitoni, ci fa pensare a suoni sgradevoli, disturbi acustici che ci infastidiscono. Ma il concetto scientifico di rumore è molto più vasto. Si può parlare di rumore anche nel settore visivo, ad esempio quando le immagini televisive ci appaiono distorte, o nel campo delle telecomunicazioni, quando non sentiamo bene la radio, o al telefono non riusciamo a distinguere con chiarezza la voce di chi ci parla. In realtà il rumore è fatto di una vastissima gamma di vibrazioni, dovute alla natura stessa di tutti gli oggetti materiali, ed è presente dappertutto e ad ogni scala di grandezze, da quella atomica a quelle percepibili dai nostri sensi. Questo lo rende una fonte di energia inesauribile, pulita e sfruttabile ovunque, in ogni tipo di ambiente. Ed è perciò che abbiamo pensato di ricavarne energia per alimentare i microsensori.
Cosa sono i microsensori, e a cosa servono? - Sono una nuova classe di piccolissimi dispositivi elettronici, grandi quanto un granello di polvere. Negli Stati Uniti, uno dei paesi dove se ne sta perfezionando la realizzazione, vengono chiamati “smart dust”, polvere intelligente. Praticamente sono strumenti microscopici in grado di misurare grandezze di ogni tipo - come la temperatura, la luminosità, la pressione – e di comunicare queste misure, trasferendole a centri di calcolo in grado di processarle ed analizzarle. Le applicazioni pratiche di questi apparecchi sono enormi. Si pensa di disperderli nell'ambiente ed utilizzarli per gli scopi più disparati, come tenere sotto controllo la stabilità di un ponte o di un edificio, il grado di pericolosità di un vulcano, lo stato di conservazione di un'opera d'arte, o anche di inserirli nei nostri abiti, per monitorare il battito cardiaco, la pressione o la quantità di insulina presente nel sangue, o di introdurli nel nostro organismo per scopi biomedici più complessi.

Perché non possono essere alimentati con i metodi tradizionali, come le batterie o l'energia solare? - Per vari motivi. Innanzitutto, attualmente non siamo ancora in grado di costruire batterie così piccole da essere contenute in sensori di dimensioni microscopiche. Inoltre le batterie hanno bisogno di essere ricaricate, e per di più sono inquinanti. I dispositivi di cui parliamo – una volta rilasciati nell'ambiente – sono destinati a rimanerci. Le loro dimensioni non permettono di poterli raccogliere e riciclare. Per questo motivo la loro fonte di energia non deve esaurirsi, né – tanto meno – deve contenere elementi dannosi per l'ambiente. L'impiego di altre fonti di energia pulita, come quella solare o eolica, sarebbe d'altro canto limitata solo ai luoghi da cui è possibile ricavarla, mentre il rumore è presente ovunque.
In che modo siete riusciti a convertire il rumore in energia? - Attraverso gli oscillatori. Sono degli apparecchi che consentono di convertire le oscillazioni – dovute alle vibrazioni, e quindi al rumore - in energia elettrica. Ma non è questa la nostra innovazione. Gli oscillatori vengono utilizzati già da molto tempo per questo scopo. Si adoperano, ad esempio, per alimentare alcuni tipi di orologi, quelli che si ricaricano con il movimento del polso. Ma se l'orologio non viene tenuto al polso, si ferma. Questo perché gli oscillatori lineari possono convertire in energia solo un piccolo settore della vasta gamma di vibrazioni esistenti, quelle chiamate appunto lineari, che – nel caso dell'orologio – provengono dai nostri movimenti.

L'idea nuova è che noi abbiamo realizzato un genere di oscillatore non lineare, in grado di ricavare energia da uno spettro di vibrazioni molto più ampio, e pertanto sfruttabile in ogni condizione ambientale. Secondo noi, questo tipo di oscillatore rappresenta il motore ideale per i microsensori, in quanto è riproducibile a scala microscopica, non ha bisogno di essere ricaricato, non contiene parti inquinanti ed è in grado di convertire in energia il rumore dovuto a vibrazioni presenti sempre ed ovunque.
Attualmente, che cosa state facendo? - Stiamo lavorando nei laboratori del NiPS (Noise in Physical Systems, Rumore nei Sistemi Fisici) del Dipartimento di Fisica dell'Ateneo di Perugia, per ampliare ancora di più la gamma di vibrazioni sfruttabili da questo tipo di oscillatori. Nel frattempo, abbiamo dato vita alla Wisepower SrL, uno spin-off - come vengono chiamate le società che, sviluppandosi dai risultati delle ricerche universitarie, dovrebbero rappresentare un ponte fra ricerca ed impresa - ed abbiamo ottenuto il brevetto per alcuni tipi di questi oscillatori. Il nostro più grande problema, al momento, è quello di ottenere i fondi necessari per continuare la ricerca, e per raffinare i nostri risultati. Anche se i campi di applicazione dei nostri prototipi saranno enormi in un futuro molto prossimo, trovare degli investitori nel nostro paese ci appare ormai un'ipotesi molto remota. Attualmente, ci stiamo quindi rivolgendo all'estero.
E i problemi di carattere economico non finiscono qui. A parte il professor Gammaitoni, i membri del team che si occupano di questo interessante e utile settore della fisica lavorano tutti con contratti precari. Si tratta di scienziati con oltre dieci anni di esperienza, che per il loro lavoro stanno ricevendo i più grandi riconoscimenti nell'ambito della comunità accademica internazionale. I loro risultati vengono infatti pubblicati sulle più importanti riviste scientifiche, e ricevono inviti dalle più prestigiose università del mondo per illustrare i dettagli delle loro ricerche. Ma, benché il professor Gammaitoni ammetta di dedicare ormai gran parte del suo tempo alla stesura ed alla presentazione di ogni tipo di documentazione per stabilizzare la situazione lavorativa dei suoi preziosi collaboratori, l'obiettivo sembra ancora molto lontano.

Speriamo che non diventi anche questo uno dei tanti esempi di emigrazione di talenti italiani all'estero. E' triste pensarlo. E non solo dal punto di vista delle risorse intellettuali, che in casi come questo si trovano costrette ad abbandonare l'Italia, ma anche per il fatto che le nostre istituzioni hanno comunque investito per molti anni su queste persone e sulle loro ricerche. Perderle adesso significherebbe regalare ad altri il frutto di anni di investimenti economici effettuati dal nostro paese.
Daniela Querci - 20/04/2009

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